Cristina col suo romanzo Zero Positivo dice grazie ai donatori di sangue
Un frammento dal libro Zero Positivo:
«Ecco qui per te una ‘bistecca’. In aplasia dobbiamo sostenerti
così. Domani riceverai anche una sacca di piastrine.
Cerca di riposare adesso».
Guardavo stupita la discesa gravitazionale del sangue ricevuto.
Il tubicino trasparente della flebo prese a colorarsi
pian piano di rosso: un rosso brillante e vivo. Dopo qualche
istante, percepii una sensazione di fresco in vena. Ricevevo il
sangue di un’altra persona, un essere umano con il mio stesso
gruppo sanguigno. Chiusi gli occhi e cercai di elaborare questo
nuovo pensiero. Mi sembrava miracoloso.
Me lo immaginavo nella mattina in cui aveva deciso di
andare in ospedale per donare il sangue, lo vedevo assonnato
e mi pareva di rivivere i suoi preparativi per uscire,
quelli che per tutti noi sono parte della routine quotidiana,
della normalità della vita. Lo immaginavo già vestito – una
camicia bianca di lino – vedevo la sua mano prendere le
chiavi della macchina per recarsi in ospedale, e dei passi
sostenuti che salivano le scale seguendo la riga rossa sul corridoio
che conduce alla stanza dei prelievi. Riuscii persino a
sorprendere un sorriso appena accennato nell’angolo destro
della bocca. Ma gli occhi no. Lo vedevo disteso sul lettino
d’ospedale col braccio destro stretto dal laccio emostatico
di gomma. L’ago che gli penetrava la vena non lo disturbava
più di tanto, e lo vedevo sereno e tranquillo mentre lasciava
che il suo sangue venisse prelevato. Forse si sentiva un po’
debilitato da quest’operazione, il sangue che scorreva via
dal suo corpo lo lasciava privo di forze, ma vi era abituato.
Lo vedevo chiudere piano gli occhi per poter sopportare
meglio quella sensazione. Lo faceva sapendo che il suo gesto
e la sua vita, quella mattina, potevano salvare la vita di
una persona. Aveva scelto di condurre un’esistenza sana ed
equilibrata, forse non solo per se stesso ma implicitamente
anche per me. Adesso, lui mi si apriva dentro e si donava
concretamente. Mi regalava le sue gocce preziose, i suoi attimi
di vita; il suo amore per gli altri entrava nelle mie vene
per arricchire e sostenere la mia esistenza. La sua bellezza
inondava il mio corpo e arrivava fino al cuore, per aiutarlo
a battere, per sostenere il mio respiro, perché non rimanessi
priva del ritmo della vita.
Chiusi gli occhi con la presenza di quella persona in me,
presenza concreta e buona, presenza che continuava a entrare
dentro di me con ogni goccia rossa. E così, pian piano, ritrovavo
pensieri di gratitudine verso colui che aveva deciso di
spendere tempo, energia e sangue per me. Abbracciavo grata
il suo sangue tra le pareti delle mie vene e gradualmente lo
sconosciuto si trasformava in speranza, in fiducia, in amore
concreto. Le mie forze tornavano lentamente e mi sentivo un
po’ meno assonnata e fors’anche un po’ meno stanca.
Il peso del tempo che passava era abbastanza sostenibile.
Capii chiaramente che mi si offriva, attraverso quel sangue,
un’altra lezione di vita. Imparavo che ci sono esseri umani
che pensano agli altri; a sconosciuti, dai quali non c’è la
minima possibilità di ricevere nulla in cambio, nemmeno un
“grazie”. Un gesto di bontà e di straordinaria umanità.
Imparavo questo, mentre il sangue vivo di quella persona buona
mi entrava in circolo. Imparavo che ci sono nel mondo milioni
di gesti così, gesti invisibili, a volte dati per scontati, spesso
sconosciuti, gesti muti che non hanno bisogno di pubblicità,
che non cercano la notorietà, gesti che vengono compiuti
solo perché frutto del cuore caldo di un essere umano. A chi
dire grazie? Mi si dava una cosa così preziosa e io non sapevo
nemmeno a chi dire grazie”.